"Il Codice Così Fan Tutti" è un libro di Maurizio Santoloci che prende in esame prassi, credenze, consuetudini interpretative ed applicative, le quali creano una vera e propria realtà di “diritto parallelo” in tutti i settori, compreso quello del diritto ambientale.


INTRODUZIONE


Perché “Codice Così Fan Tutti”? Perché il nostro sistema giuridico, in tutti i settori, da anni è ricco ed incrostato da prassi, consuetudini interpretative ed applicative, credenze delle quali si è persa la memoria della loro arcaica origine, ma tali realtà - sommate tutte insieme - creano una vera e propria realtà di “diritto parallelo” a testa in giù che incide profondamente a livello procedurale e sostanziale in ogni settore.
Si pensi - a mero titolo di esempio - al settore processuale penale ed alla prassi antica e non espugnabile di concedere le attenuanti generiche al responsabile di qualunque reato (anche il più efferato) solo ed esclusivamente per il fatto che al momento della redazione di quella sentenza di condanna sul certificato penale risulta “incensurato”, e cioè privo di precedenti penali pregressi. La motivazione con la quale si concedono tali attenuanti generiche in tanti casi è solo lo stato di “incensuratezza”. Ebbene l’art. 62 bis ultimo comma codice penale proibisce in modo espresso questa prassi: “In ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma”. Invece “per ciò solo” ogni giorno in sentenze di condanna anche per gravi reati di sangue vengono concesse tali attenuanti sulla base della (totalmente infondata ed arcaica credenza) che tale concessione è un “diritto” automatico di ogni imputato “incensurato”… Non si sottovaluti il problema: le attenuanti generiche portano ad una riduzione secca di un terzo della pena. Il che significa che, in una sentenza di condanna per omicidio di trenta anni, consentono uno sconto di dieci anni e se sono concesse equivalenti o prevalenti ad aggravanti anche gravi (come l’aver agito con crudeltà) cancellano anche tali aggravanti e riducono la pena in modo ulteriore. Infine il paradosso spesso è che soprattutto nei reati predatori dilaganti quel soggetto, che in quel momento risulta “incensurato”, può avere maturato diverse sentenze di condanna in primo e secondo grado come criminale seriale anche se - non essendo ancora definitive - non risultano ancora sul certificato penale. Questo è un tipico caso di prassi che in base al “Codice Così Fan Tutti” ha preso il sopravvento sulle regole codicistiche per consuetudinaria applicazione diffusa storica.
Ma il settore dei reati ambientali, a danno della salute pubblica ed a danno degli animali è stato veramente la culla storica della proliferazione delle prassi e delle consuetudini arcaiche del “Codice Così Fan Tutti”, a tal punto da creare in gran parte di questi campi un vero e proprio diritto alternativo di fatto che ha dato luogo ad applicazioni anomale, illegittime, prive di ogni senso logico delle norme di settore fino a vanificarne ogni efficacia applicativa.
Storicamente va ricordato un caso clamoroso molto significativo. Negli anni dell’esplosione del sacco edilizio delle coste e delle aree vincolate, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, si era diffusa la ridicola ed infondata “credenza” che un cantiere edile totalmente abusivo in area vincolata non poteva essere più sequestrato dalla polizia giudiziaria se l’opera era “ultimata”.
Questa stupidaggine di principio è dilagata velocemente in modo tale da aver convinto gran parte degli organi di controllo amministrativo e di polizia giudiziaria sul territorio. Le conseguenze sono state devastanti. Perché gli abusivisti edilizi, avendo intuito che chi doveva controllare era caduto incredibilmente in questa trappola culturale del “Codice Così Fan Tutti”, si sono prontamente adeguati. Qualcuno ricorderà che in quegli anni esistevano - come formicai soprattutto sulle coste - i cantieri notturni illuminati con cellule fotoelettriche. Di giorno la cantieristica abusiva era ferma e magari coperta con teloni mimetici, mentre di notte un esercito di abusivisti ed operai lavorava alacremente fino all’alba per cercare di portare avanti la struttura portante del manufatto, in modo da raggiungere il famoso concetto di “opera ultimata”. Di notte i controlli erano logicamente inesistenti, mentre di giorno i cantieri erano fermi. L’obiettivo era tirare su lo scheletro essenziale del manufatto abusivo per raggiungere il traguardo della “ultimazione” della struttura. Perché tale “ultimazione” metteva al riparo l’abusivista dai sequestri della polizia giudiziaria.
L’aspetto ancora più ridicolo è che tale credenza era talmente radicata e dilagante che in seminari e convegni sull’edilizia abusiva non si discuteva sull’assurdità di tale concetto, ma su cosa doveva intendersi per “opera ultimata”. In modo da far scattare il presunto divieto di sequestro. Per anni ho partecipato personalmente a seminari di questo genere dove tecnici comunali, operatori di polizia giudiziaria e pubblici amministratori proponevano la loro versione sul concetto di questa “ultimazione” C’era chi sosteneva che la realizzazione del tetto anche su scheletro nudo significava che la struttura era “ultimata”; altri ritenevano - invece - che ci volessero almeno i muri perimetrali esterni. Con i miei occhi e le mie orecchie ho visto ed ascoltato personalmente un tecnico comunale di una importante città che intervenne e disse in pubblico che per rispetto della storica consuetudine locale come cantieristica, loro consideravano l’opera “ultimata” quando era stata fissata la bandiera italiana sul tetto...
Questa è la storia del diritto ambientale nazionale transitato nella spirale perversa del “Codice Così Fan Tutti” che - in molti casi - ne ha rallentato o addirittura azzerato ogni efficacia.
Oggi le grandi forme criminali, nella loro struttura imprenditoriale, hanno perfettamente capito questo meccanismo e lo alimentano attraverso l’ideazione, la propaganda e la diffusione di “principi” totalmente infondati, ma ben confezionati, in modo da raggiungere il massimo possibile degli utenti, perché poi basta che un gruppo stabile si appropri del concetto che tale “principio” diventi dilagante. Dunque, non va sottovalutato il codice delle prassi e delle consuetudini illegittime.
Questo volume, dal titolo certamente un po’ provocatorio, vuole dare un quadro di quello che è l’esatta dimensione del problema. Ho voluto riassumere venti casi esemplificativi - tra loro diversi - di applicazione del “Codice Così Fan Tutti” dove il lettore noterà la totale infondatezza dei “principi” applicati di fatto sul territorio, ma nonostante questo si tratta di “principi” radicati e difficile da sconfiggere.
Il primo principio che ho voluto affrontare è la presunta “incompetenza” di tutta la polizia giudiziaria nazionale e locale “non specializzata” verso i reati ambientali, a danno della salute pubblica ed a danno degli animali. Un principio devastante, demolitore, basato su una radice concettuale profonda ed epidermica in tante forze di polizia che - ancora oggi - nonostante tutto e nonostante il dilagare dei crimini ambientali sul territorio si ritengono “incompetenti” per intervenire a reprimere tali reati. Sono posizioni durissime da scalfire; in questo settore il “Codice Così Fan Tutti” è blindato.
Logicamente di questa situazione ha approfittato ogni tipo di criminalità ambientale la quale, mentre polizie statali e locali dibattevano - vivacemente in passato e qualcuno ancora oggi anche se più in sordina - su chi è “competente” e chi no, hanno sostanzialmente agito indisturbati approfittando dell’assenza di controlli.
Contrastare dunque il “Codice Così Fan Tutti” in questi tre settori è un obiettivo fondamentale per garantire la legalità ambientale E spero che questo piccolo libro posso essere un modesto contributo in tale direzione.


Buona lettura a tutti!



Maurizio Santoloci



Diritto all'ambiente - Edizioni
P.IVA 01349660553